La disoccupazione in Italia

Il profilo della disoccupazione in Italia ha molte componenti e quindi molte sono le strade per trovare una soluzione.

C’è innanzitutto un problema di disoccupazione giovanile, che, anche dal punto di vista statistico, è quello più preoccupante. Se infatti la disoccupazione generale viaggia intorno al 10%, quella giovanile è superiore al 30% e spesso ha superato il 40%. Qui c’è poco da fare, occorre creare nuova occupazione, favorire investimenti e migliorare l’offerta complessiva occupazionale, che non è in grado di soddisfare i profili più alti e ambiziosi. Quindi bisogna battere su due fronti: creare occasioni in grado di introdurre comunque dei giovani nel mondo del lavoro, anche con contratti a termine, anche con proposte di lavoro sfidanti ma non impegnative (e quindi viva il call center che assumono a tempo determinato come Accueil, viva i lavori in fabbrica per operai specializzati e tecnici, viva i lavori stagionali nel turismo), ma anche alzando il livello e introducendo profili alti nel campo della ricerca, dell’innovazione, delle specializzazioni nella pubblica amministrazione, così da dare opportunità a chi ha carte da giocare e oggi se le va a giocare all’estero.

Poi c’è il problema dei lavoratori che perdono il lavoro a cinquant’anni, e che si trovano non solo senza lavoro, ma senza una prospettiva, perché hanno competenze troppo legate al vecchio impiego o comunque obsolete. Qui bisogna lavorare molto sulla formazione e sulla riconversione. Anche qui sarebbe necessario avere delle politiche attive del lavoro, basate sulla conoscenza del mercato (che cosa serve davvero, quali sono le competenze di successo e quelle con maggiori potenzialità) e sull’orientamento, accompagnate da politiche per la formazione che oramai in Italia sono sempre più in crisi.

C’è poi il mondo della disoccupazione femminile. In Italia il tasso di occupazione delle donne è basso e raggiunge a stento il 50%. Questo è un altro problema, perché la crescita economica dipende anche dal tasso di occupazione, che nel nostro paese è particolarmente basso. Per favorire l’entrata delle donne nel mercato del lavoro occorre ripensare anche i modelli organizzativi, favorendo il lavoro flessibile, quello in grado di consentire a chi lavora anche di gestire una famiglia.

Ma, come detto, la cosa più importante è creare sviluppo, occorre che le imprese crescano, dimensionalmente e come giro d’affari, occorre che nascano nuove aziende, che si affermino nuovi business. Se il lavoro non c’è, occorre creare nuove imprese, e questo vale per i giovani, per le donne, e anche per i disoccupati più anziani.

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